Psicofarmaci: categorie, utilizzo ed effetti
In questo video il dott. Michele Cucchi, psichiatra e direttore sanitario del Centro Medico Santagostino, ci parla degli psicofarmaci: le categorie in cui si differenziano, i campi di applicazione e gli effetti sull'organismo.
Tante persone che vivono una condizione di malessere o disagio emozionale, si pongono dei vincoli a farsi aiutare perché hanno paura di essere considerati "pazzi".
Lo stigma che colpisce queste persone è spesso legato alla paura delle cure applicate a chi presenta dei disturbi psichici, quindi l’assunzione e l'utilizzo degli psicofarmaci.
In media una persona che soffre d’ansia può arrivare ad aspettare anche due anni prima di chiedere un supporto qualificato.
È bene conoscere meglio questi farmaci e il loro utilizzo per poter fare una scelta consapevole verso lo star bene.
Tutti gli psicofarmaci sono classificabili in quattro grandi categorie:
- gli antidepressivi che vengono usati per forme d’ansia e per forme di disturbi dell’umore, come la depressione;
- gli ansiolitici che funzionano su varie condizioni per tenere bassa la sensazione e i sintomi nel “qui e ora”;
- gli stabilizzatori del tono dell'umore che servono a mantenere il beneficio delle oscillazioni umorali;
- gli antipsicotici che aiutano a riuscire a pensare in maniera più efficace.
Gli psicofarmaci non cambiano il carattere.
Possono fare cose più piccole e molto più specifiche, per esempio modulare l’espressione delle emozioni che tutti noi viviamo in maniera fisiologica, come l'ansia, la rabbia o la tristezza.
A volte queste emozioni hanno un’espressione esagerata e il compito degli psicofarmaci è quello di riportare queste espressioni in un contesto di fisiologia.
Gli psicofarmaci sono ben tollerati.
Gli effetti collaterali che possono avere, come tutti i farmaci, del resto, sono prevalentemente riconducibili a un aumento di peso e una difficoltà legata alla sfera sessuale con una riduzione del desiderio.
Come si fa a gestire questi problemi? Innanzitutto è bene chiarire che tali disturbi non riguardano sempre tutti, ma possono esserci persone un po’ più predisposte. La scelta deve sempre orientarsi verso il massimo risultato con il minimo sforzo, ovvero dosaggi minimamente alti ma efficaci. Il minimo efficace per il tempo minimo richiesto delle linee guida. Riassumendo: massimo risultato con dosaggi bassi, per poco tempo.
Gli psicofarmaci non chiudono il cerchio delle cure di cui si può disporre.
In alcuni casi, quasi nel 30% dei casi di disagio, gli psicofarmaci rappresentano dei veri e propri salvavita.
Sono capaci di cambiare in qualche settimana la condizione di malessere delle persone portandole a una condizione di benessere significativo. Ma negli altri casi lo psicofarmaco fa solo un pezzo del lavoro. Può essere paragonato al ruolo che ha una stampella: a volte una gamba rotta va comunque ingessata ma la stampella risulta necessaria per fare i primi passi in fase di riabilitazione; se il paziente vuole tornare a "camminare" veramente bene e in modo autonomo, deve scegliere di fare un percorso, nel nostro caso basato sulla parola.
La psicoterapia è una riabilitazione psicologica che permette di poter tornare a camminare con le proprie gambe.
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Lo stigma che colpisce queste persone è spesso legato alla paura delle cure applicate a chi presenta dei disturbi psichici, quindi l’assunzione e l'utilizzo degli psicofarmaci.
In media una persona che soffre d’ansia può arrivare ad aspettare anche due anni prima di chiedere un supporto qualificato.
È bene conoscere meglio questi farmaci e il loro utilizzo per poter fare una scelta consapevole verso lo star bene.
Tutti gli psicofarmaci sono classificabili in quattro grandi categorie:
- gli antidepressivi che vengono usati per forme d’ansia e per forme di disturbi dell’umore, come la depressione;
- gli ansiolitici che funzionano su varie condizioni per tenere bassa la sensazione e i sintomi nel “qui e ora”;
- gli stabilizzatori del tono dell'umore che servono a mantenere il beneficio delle oscillazioni umorali;
- gli antipsicotici che aiutano a riuscire a pensare in maniera più efficace.
Gli psicofarmaci non cambiano il carattere.
Possono fare cose più piccole e molto più specifiche, per esempio modulare l’espressione delle emozioni che tutti noi viviamo in maniera fisiologica, come l'ansia, la rabbia o la tristezza.
A volte queste emozioni hanno un’espressione esagerata e il compito degli psicofarmaci è quello di riportare queste espressioni in un contesto di fisiologia.
Gli psicofarmaci sono ben tollerati.
Gli effetti collaterali che possono avere, come tutti i farmaci, del resto, sono prevalentemente riconducibili a un aumento di peso e una difficoltà legata alla sfera sessuale con una riduzione del desiderio.
Come si fa a gestire questi problemi? Innanzitutto è bene chiarire che tali disturbi non riguardano sempre tutti, ma possono esserci persone un po’ più predisposte. La scelta deve sempre orientarsi verso il massimo risultato con il minimo sforzo, ovvero dosaggi minimamente alti ma efficaci. Il minimo efficace per il tempo minimo richiesto delle linee guida. Riassumendo: massimo risultato con dosaggi bassi, per poco tempo.
Gli psicofarmaci non chiudono il cerchio delle cure di cui si può disporre.
In alcuni casi, quasi nel 30% dei casi di disagio, gli psicofarmaci rappresentano dei veri e propri salvavita.
Sono capaci di cambiare in qualche settimana la condizione di malessere delle persone portandole a una condizione di benessere significativo. Ma negli altri casi lo psicofarmaco fa solo un pezzo del lavoro. Può essere paragonato al ruolo che ha una stampella: a volte una gamba rotta va comunque ingessata ma la stampella risulta necessaria per fare i primi passi in fase di riabilitazione; se il paziente vuole tornare a "camminare" veramente bene e in modo autonomo, deve scegliere di fare un percorso, nel nostro caso basato sulla parola.
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