La giornata di Sara (Cunéaz - Val d’Ayas, Valle d’Aosta)
Era l’estate del 1990, l’estate che tutti ricordano per i Mondiali di calcio in Italia e per “Notti magiche” cantata rigorosamente a squarciagola da adulti e da noi bambini, l’estate dei goal di codino Roby Baggio e del grande Totò Schillaci, le partite ascoltate alla radio e, quelle speciali, guardate alla tv del bar del Crest, all’arrivo della telecabina.
Era l’estate dei miei 9 anni.
Il regista Beppe Recchia (che negli anni successivi avrebbe dato vita a trasmissioni del calibro di Buona Domenica, Scherzi a parte, Beato tra le donne, Colorado Café Live) era venuto a Cunéaz, in Val d’Ayas, per girare una puntata per la trasmissione RAI “Uno mattina” sul mio papà e i lavori d’alpeggio.
Ma quando ha visto la mia testolina bionda davanti a 50 mucche mentre, come ogni mattina, le portavo al pascolo accompagnata dai miei due cani Briga e Lola, ha deciso che la protagonista di quella puntata sarei stata io: Heidi esisteva davvero!
Ed è nata “La giornata di Sara”: 4 minuti di video che cercavano di riassumere allora, per il grande pubblico cittadino, la “straordinarietà” della vita di una ragazzina che, con la sua famiglia, viveva per 5 mesi l’anno in un magnifico paesino a 2000 m, senza tv in casa, senza scendere in città per vedere gli amichetti, andare al cinema o per frequentare mille corsi diversi tra musica e sport per “crescere sana”.
Una straordinarietà che per me era la normalità, scandita dai ritmi dei lavori di stalla, dalle ore passate al pascolo con il nonno, seduta al suo fianco facendo attenzione a non schiacciare l’erba per il pasto successivo, senza dimenticare il gioco all’aria aperta e l’importanza dei compiti fatti ogni pomeriggio. Pantaloncini corti indossati con qualunque condizione meteo e scarponi con i calzettoni, che lasciavano sulle mie gambette un’abbronzatura a pezzi che sarebbe durata tutto l’anno.
La normalità di una vita semplice che non mi ha mai fatto chiedere “perché non andiamo al mare?”. Ai miei occhi non mancava nulla, c’era tutto ciò che serviva. Era normale partire a inizio giugno per l’alpeggio con bagagli, galline, maiali e mucche; era normale chiudere la casa di Torre Balfredo e riaprirla ad ottobre. Era normale aiutare i miei genitori, non esisteva il “non ho voglia, magari lo faccio dopo”. Era normale condividere la stanzetta con i miei fratelli e i miei genitori, dormendo sul letto a castello con il sacco a pelo. Era normale svegliarsi al mattino presto sentendo la legna che scoppiettava nella stufa appena accesa e l’odore del fumo che pizzicava le narici. Era normale fare colazione con pane integrale (secco) ammollato nel latte fresco, munto un’ora prima dal papà, ed era normale non chiedere altro, perché quello c’era e “faceva bene” e riempiva lo stomaco per affrontare la mattinata. Era normale stare connessi con il mondo con una radio che veniva accesa al mattino e spenta la sera quando si andava a letto, era normale mettersi a tavola a pranzo e sentire l’inconfondibile jingle de La Voix de la Vallée, il giornale radio che trasmetteva (e trasmette tutt’oggi) le notizie valdostane. Era normale stare fuori casa, con il cappellino se c’era il sole, con gli stivali e l’ombrello se pioveva. Era normale mettere in conto che, di lì a qualche anno, avrei lavorato io il latte per produrre il burro e la toma, svegliandomi alle 4.30 del mattino e avendo la fortuna, si, di assistere alle albe più belle che io possa ricordare, ma sacrificando i miei pomeriggi con gli amici al paese per recuperare il sonno perso…
Era straordinariamente normale che fosse così.
Sono anni, quelli che vanno dalla mia nascita fino alla fine delle scuole superiori, che ricordo ora con nostalgia, perché a quel tempo li ho vissuti dandoli per scontati e, appunto, normali. Ci sono passata attraverso senza pensare alla loro importanza, ma quegli anni e quello stile di vita hanno inevitabilmente formato il mio carattere, perché la donna che sono ora è l'evoluzione della ragazzina bionda che non aveva timore di sporcarsi le mani, quella con il bernoccolo sulla fronte e la faccia da furbetta.
Questo bel video, che ho digitalizzato perché nasce su VHS, è un vecchio bellissimo ricordo che voglio dedicare a tutti coloro che, come me né troppo giovani, né troppo vecchi, hanno vissuto una gioventù apparentemente caratterizzata dal lavoro, dai sacrifici e dalle sole cose essenziali, ma proprio per questo straordinaria!
Видео La giornata di Sara (Cunéaz - Val d’Ayas, Valle d’Aosta) канала Sara Favre
Era l’estate dei miei 9 anni.
Il regista Beppe Recchia (che negli anni successivi avrebbe dato vita a trasmissioni del calibro di Buona Domenica, Scherzi a parte, Beato tra le donne, Colorado Café Live) era venuto a Cunéaz, in Val d’Ayas, per girare una puntata per la trasmissione RAI “Uno mattina” sul mio papà e i lavori d’alpeggio.
Ma quando ha visto la mia testolina bionda davanti a 50 mucche mentre, come ogni mattina, le portavo al pascolo accompagnata dai miei due cani Briga e Lola, ha deciso che la protagonista di quella puntata sarei stata io: Heidi esisteva davvero!
Ed è nata “La giornata di Sara”: 4 minuti di video che cercavano di riassumere allora, per il grande pubblico cittadino, la “straordinarietà” della vita di una ragazzina che, con la sua famiglia, viveva per 5 mesi l’anno in un magnifico paesino a 2000 m, senza tv in casa, senza scendere in città per vedere gli amichetti, andare al cinema o per frequentare mille corsi diversi tra musica e sport per “crescere sana”.
Una straordinarietà che per me era la normalità, scandita dai ritmi dei lavori di stalla, dalle ore passate al pascolo con il nonno, seduta al suo fianco facendo attenzione a non schiacciare l’erba per il pasto successivo, senza dimenticare il gioco all’aria aperta e l’importanza dei compiti fatti ogni pomeriggio. Pantaloncini corti indossati con qualunque condizione meteo e scarponi con i calzettoni, che lasciavano sulle mie gambette un’abbronzatura a pezzi che sarebbe durata tutto l’anno.
La normalità di una vita semplice che non mi ha mai fatto chiedere “perché non andiamo al mare?”. Ai miei occhi non mancava nulla, c’era tutto ciò che serviva. Era normale partire a inizio giugno per l’alpeggio con bagagli, galline, maiali e mucche; era normale chiudere la casa di Torre Balfredo e riaprirla ad ottobre. Era normale aiutare i miei genitori, non esisteva il “non ho voglia, magari lo faccio dopo”. Era normale condividere la stanzetta con i miei fratelli e i miei genitori, dormendo sul letto a castello con il sacco a pelo. Era normale svegliarsi al mattino presto sentendo la legna che scoppiettava nella stufa appena accesa e l’odore del fumo che pizzicava le narici. Era normale fare colazione con pane integrale (secco) ammollato nel latte fresco, munto un’ora prima dal papà, ed era normale non chiedere altro, perché quello c’era e “faceva bene” e riempiva lo stomaco per affrontare la mattinata. Era normale stare connessi con il mondo con una radio che veniva accesa al mattino e spenta la sera quando si andava a letto, era normale mettersi a tavola a pranzo e sentire l’inconfondibile jingle de La Voix de la Vallée, il giornale radio che trasmetteva (e trasmette tutt’oggi) le notizie valdostane. Era normale stare fuori casa, con il cappellino se c’era il sole, con gli stivali e l’ombrello se pioveva. Era normale mettere in conto che, di lì a qualche anno, avrei lavorato io il latte per produrre il burro e la toma, svegliandomi alle 4.30 del mattino e avendo la fortuna, si, di assistere alle albe più belle che io possa ricordare, ma sacrificando i miei pomeriggi con gli amici al paese per recuperare il sonno perso…
Era straordinariamente normale che fosse così.
Sono anni, quelli che vanno dalla mia nascita fino alla fine delle scuole superiori, che ricordo ora con nostalgia, perché a quel tempo li ho vissuti dandoli per scontati e, appunto, normali. Ci sono passata attraverso senza pensare alla loro importanza, ma quegli anni e quello stile di vita hanno inevitabilmente formato il mio carattere, perché la donna che sono ora è l'evoluzione della ragazzina bionda che non aveva timore di sporcarsi le mani, quella con il bernoccolo sulla fronte e la faccia da furbetta.
Questo bel video, che ho digitalizzato perché nasce su VHS, è un vecchio bellissimo ricordo che voglio dedicare a tutti coloro che, come me né troppo giovani, né troppo vecchi, hanno vissuto una gioventù apparentemente caratterizzata dal lavoro, dai sacrifici e dalle sole cose essenziali, ma proprio per questo straordinaria!
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