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One of these days - Roger Waters Us+them tour

Ci sono volte in cui viene da pensare che dopotutto c’è ancora speranza, ad esempio quando vedi Roger Waters con le date tutte esaurite da tempo, nonostante biglietti certo a prezzi non popolari. Perché spettacolo migliore ad oggi il rock non lo ha probabilmente da offrire, e nonostante i brani portati sul palco dall’ex bassista e leader dei Pink Floyd si accollino sulle spalle diverse decadi, tutto è tranne che un revival.
Uno show a tutto tondo, uno spettacolo musicale, concettuale e visuale che appaga tutti i sensi.
Chi non fosse particolarmente d’accordo con le vedute politiche dell’ex Pink Floyd potrebbe anche prendersela a male, e di fatto è stato così in alcune tappe americane, con spettatori che hanno lasciato la sala all’ennesimo sfregio al presidente Usa Donald Trump. Ma “possono sempre andarsi a vedere Katy Perry”, ha fatto spallucce Waters. Perché quel che vuole dire, lo dice molto esplicitamente. E allora ecco che la lunga suite di “Pigs” diventa lo sfondo per una serie di immagini caricaturali di Trump, col mega maiale volante che percorre l’arena e a sua volta ne porta addosso l’effige trasfigurata. E nel finale sul maxischermo sul palco, più i due che nella seconda parte dello show dividono a metà la platea, appare la scritta “Trump è un maiale”. In italiano, perché il concetto non sfugga a nessuno.
Così come in italiano, più tardi, viene dipinta la risposta “Col cazzo” quando in “Mother” Waters si chiede “Mother, should I trust the government?” (Mamma, mi devo fidare del governo?).
La resistenza di Waters è ai potenti del globo (tra le immagini che scorrono anche i nostri Berlusconi e Salvini), ai nuovi fascismi, ai muri, siano esso quello desiderato da Trump o quello in Cisgiordania, e per chi non lo sapesse la posizione della rockstar sulla questione mediorientale è esplicata dalla bandiera palestinese che raccoglie dal pubblico e porta con sé a fine concerto. Ma lasciando fuori la politica, è resistenza contro le ondate di musica mediocre che ci bombardano ogni giorno, e l’effetto collaterale è il doversi poi riabituare agli standard di giudizio abituali. In un show come quello del tour di “Us&Them” musica e produzione non possono essere del tutto separate, con la mastodontica scenografia talvolta a rubare la scena. Ma quando la musica è di questo livello poi si fatica a ignorarla, anche perché l’esecuzione è magistrale.
Per quanto le canzoni siano quelle, è palese non si possa parlare di una sorta di cover band dei Pink Floyd, semplicemente perché con Waters sul palco ci sono altri otto musicisti straordinari, dal chitarrista Dave Kilminster, con cui lavora da dodici anni, a Jonathan Wilson, che fa sostanzialmente la parte che fu di David Gilmour. E non importa schierarsi dall’una o dall’altra fazione del team Waters o Gilmour per goderne. Che sia la struggente classicità di uno dei brani più belli della storia come “Wish you were here”, la complessità prog della mezz’ora di “Dogs”/“Pigs”, o l’ammirazione di un’opera d’arte cofirmata dai due come “Comfortably numb”, che chiude lo spettacolo. In un tripudio di colori, applausi e chitarre assieme ammalianti e strazianti, la canzone narra il triste finale di Pink, la rockstar
ipotetica di “The wall”, che impazzisce ed entra in uno stato catatonico. In qualche modo, il rimorso e la richiesta di perdono per quanto accaduto al terzo genio dietro ai Pink Floyd, Syd Barret, che subì un destino simile e venne cacciato dalla band. Forse anche pensando a lui, da 75enne senza un cedimento, Waters in quell’altra canzone scritta con in testa Syd su quei pronomi calca molto: “Quanto io vorrei che tu fossi qui”.

Видео One of these days - Roger Waters Us+them tour канала Poxly1975
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19 апреля 2018 г. 13:35:51
00:05:24
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